La vita ai tempi di una pandemia

Sottotitolo: pensieri e riflessioni in queste settimane.

Fa un po’ strano.

Siamo una generazione nata a metà anni ’70, che non ha vissuto i drammi delle guerre (mondiali o civili), che ha goduto di un discreto benessere, di un tenore di vita migliore dei nostri avi.

Almeno per noi nati dalla parte ricca del mondo.

Eppure, questo 2020 (anno bisestile ergo funesto, a detta della tradizione), ci ha riportati indietro nella storia, una fastidiosa e alquanto tremenda macchina del tempo.

Il coronavirus che ha scatenato la pandemia di Covid-19 ci ha costretti, per il bene degli altri, a rinchiuderci in casa, a scollegare la nostra quotidianeità fatta di lavoro, spostamenti, amici, vita sociale. Ci ha portati in una dimensione di solitudine casalinga. Addio a spostamenti, addio a lavori, addio a relazioni sociali, addio a soldi & stipendi.

Ma, ahimè, addio anche a tante, tantissime persone, che hanno dovuto lottare contro un malefico piccolo esserino, e che dopo una dura lotta ci hanno abbandonato. Persone che non abbiamo potuto nemmeno salutare nelle forme più classiche, elaborando un lutto in pochissimi minuti perché le disposizioni sanitarie non permettevano funerali di nessun tipo.

Un virus subdolo, catapultato in una società un po’ strana.

Eppure… una lezione da questa pandemia la possiamo leggere. Umanità.

Il virus ci ha costretti a fare i conti con qualcosa che davamo per scontato: la socializzazione. Niente più strette di mano, abbracci, baci, contatti, saluti. Niente. Stop. Distanziamento sociale.

L’emergenza ci ha aperto gli occhi (o forse li hanno aperti solo coloro che li avevano tenuti chiusi per comodità) su cosa vuol dire avere un sistema sanitario garantito a tutti e sostenuto con la tassazione. E su cosa voglia dire pagare le tasse che servono a pagare medici e infermieri e per acquistare materiali sanitari da destinare alla popolazione. Tutto questo, nei paesi dove la spinta capitalistica è più forte, non è possibile (USA, UK etc).

L’emergenza, poi, ha costretto la classe politica a mettersi seriamente in gioco: i personaggi più squallidi, gli sciacalli più meschini, hanno tirato fuori il peggio di loro, dimostrando ancora una volta che una destra estrema è pericolosa, peggio di una presunta sinistra estrema. Sinistra non vuol dire comunismo, comunque. Perché il paragone, per i simpaticoni di destra, è immediato. Per contro, dovremmo dire allora che destra = fascismo. Ma non è così, e allora che non siano loro a puntare sempre il dito.

La classe politica, poi, ha dovuto fare i conti con i conti: che non tornano, ancora! L’Italia ha dei conti pubblici da spavento, le entrate non coprono le spese, il debito pubblico enorme, gli interessi sul debito che son sempre lì a rosicchiare il poco surplus. Che fare? Gli economisti da supermercato hanno urlato di stampare moneta e dare soldi a pioggia un po’ a tutti. Eh certo, se vuoi usare le banconote del Monopoli, fai pure. Di nuovo un’approssimazione della realtà, un qualunquismo da 4 soldi, spacciato per conoscenza, per verità, per certezza. Ma una delle prime lezioni di economia politica è proprio questo: non si stampa moneta dal nulla. C’è sempre un do ut des, un dare e avere, e senza la parità aurea (stampo moneta per quanto oro mi vendi), non è possibile creare moneta dal nulla. O meglio, sì, è possibile, ma con una serie di conseguenze negative per tantissimi, soprattutto per la popolazione più povera, a discapito dei soliti ricchi. Su Google troverete tantissimi esempi, ma quello che ho trovato qui vi fa capire in maniera molto semplice di cosa parliamo.

Soldi. Tasse. L’Italia ha dovuto chiedere un enorme massa di denaro per far fronte alla chiusura forzata di moltissime aziende, negozi, attività produttive. A chi chiedere questi soldi? Ci sono un po’ di opzioni: o aumenti la pressione fiscale, o tagli le spese, o chiedi soldi in cambio di titoli di debito pubblico.
– Aumento della pressione fiscale. E come fai? Hai già una tassazione pesante, tra tributi diretti e indiretti. Aumentarli significa solo spremere ancora di più i contribuenti (o almeno quelli che pagano regolarmente e seriamente le tasse). Scelta non idonea.
– Tagli alle spese. Ci hanno provati in tanti, quasi sempre sono stati operati in maniera lineare e senza una vera discrezione, dovendo trovare ogni volta compromessi politici pendenti tra una fazione e l’altra, tra un ministero e l’altro, tra una materia e l’altra. Niente da fare anche qui.
– Soldi in cambio di titoli di debito pubblico. Lo Stato stampa titoli di debito, che vengono acquistati da investitori istituzionali o privati, garantendo un rendimento. Ma gli investitori devono fidarsi dello stato che li emette e, in caso negativo, chiedono tassi di interesse più alti per garantirsi una remunerazione dovuta al rischio più alto.
Che facciamo? L’Italia non può fare altro che optare per l’ultima ipotesi. Ma anche qui, i soliti pagliacci della politica urlano a gran voce che i soldi ci devono essere regalati, senza condizioni, anzi pretendono una discrezionalità nell’uso e, oserei, nella distribuzione di nuovo a pioggia.

Ma i soldi ci sarebbero, stimati in almeno 100 miliardi l’anno. E’ l’evasione fiscale. Tasse non pagate. Perché, cari miei, si sa, pagare le tasse non sembra così tanto bello come invece diceva anni fa il compianto Padoa Schioppa (nota: nei due anni in cui su ministro dell’economia e finanze  l’avanzo primario dell’Italia risalì dallo 0,3% al 3%, il deficit passò dal 4% al 2%, il debito pubblico scese dal 106,5% al 104%, il recupero di imposte evase fu di 20 miliardi, gli investimenti in infrastrutture superarono i 40 miliardi di euro).
Pagare le tasse, invece, è dovere di ogni cittadino! Art. 53 della nostra Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Però ci lamentiamo delle buche nelle strade, ci lamentiamo per le tasse universitarie, ci lamentiamo delle liste di attesa per gli esami sanitari, ci lamentiamo perché a detta nostra lo Stato non è efficiente. Ma senza quella mole di denaro, cari signori, vi dovreste pagare di tasca propria la sanità, la scuola, la sicurezza, i servizi essenziali. Se non vi sta bene pagare le tasse, cominciate a mandare i vostri figli in una scuola privata invece della pubblica, a pagare il servizio di sicurezza privata invece di chiamare Polizia o Carabinieri, e se vi sentite male rinunciate all’ospedale pubblico e fatevi ricoverare in una clinica privata.
Io sono favorevole ad un controllo sistematico dell’Agenzia delle Entrate: con il codice fiscale, si può risalire a proprietà mobili e immobili, conti correnti, acquisti etc. Togliere il contante significa eliminare il denaro in nero. Poi serve una seria riforma fiscale, magari comune a tutta la UE: tassazioni più progressive, tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. Chi ha di più, paghi di più. Basta agevolazioni e regalie ai soliti paperoni che, di fatto, creano una mancata redistribuzione in favore di chi non ha. Le agenzie fiscali e tributarie hanno gli strumenti, basta avere la voglia politica di fare queste operazioni. Magari con un federalismo fiscale più serio: tasse e tributi locali che siano a finanziare il territorio, tasse e tributi regionali e nazionali con un fondo perequativo in favore delle regioni più penalizzate, tasse e tributi europei gestiti direttamente dalla UE.

Concludo: è un periodo difficile per tutti, ma senza un po’ di equità e di buon senso, i poveri saranno ancora più poveri (e falcidiati dal virus), i ricchi saranno ancora più ricchi (e sani, forse). Servono soldi, a fondo perduto, per ripartire e per aiutare i più deboli. Servono finanziamenti agevolati a chi ha comunque le spalle più forti (medie e grandi imprese). Serve un bagno di umiltà da parte di molti, in primis gli imprenditori di un certo livello, che pretendono un ulteriore depauperamento dei diritti dei lavoratori in cambio di una forte agevolazione solo nei loro confronti. Ancora questa strana e ignobile teoria di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite: quando le aziende vanno bene, i soldi li intascano i padroni. Quando vanno male, subito si alzano le voci per un intervento dello Stato e soldi pubblici a go-go. Ma non erano i fautori del libero mercato, liberismo economico e guai se lo stato interveniva nell’economia perché sarebbe stato un male? Mah! A pensar male si fa peccato ma difficilmente si sbaglia, ci ricordava don Giulio (Andreotti), e anche stavolta sembra che una certa classe imprenditoriale voglia solo pararsi i deretani con agevolazioni, continuare a garantirsi a tutti i costi un agio e una ricchezza nonostante tutto e tutti.
Ma tanto i soldi non te li porti nella tomba.