Ciao Presidente

Ieri il nostro Presidente della Repubblica ci ha salutato per l’ultima volta. Tra pochi giorni finirà il suo settennato.

Per molti, per tantissime persone, Mattarella sarà ricordato per essere uno dei presidenti più amati nella storia della Repubblica, secondo solo a Pertini, ed io condivido a pieno questo sentimento.

Perché? Leggete il testo integrale del suo discorso e capirete la grandezza e l’umanità di quest’uomo!

L’ultimo messaggio agli italiani del Capo dello Stato, che conclude il suo mandato il prossimo 3 febbraio

Care concittadine, cari concittadini,
ho sempre vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione. Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente. L’augurio che sento di rivolgervi si fa, quindi, più intenso perché, alla necessità di guardare insieme con fiducia e speranza al nuovo anno, si aggiunge il bisogno di esprimere il mio grazie a ciascuno di voi per aver mostrato, a più riprese, il volto autentico dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale.
Sono stati sette anni impegnativi, complessi, densi di emozioni: mi tornano in mente i momenti più felici ma anche i giorni drammatici, quelli in cui sembravano prevalere le difficoltà e le sofferenze.
Ho percepito accanto a me l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comunità, con un senso di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici differenze di idee e di interessi.

I due anni di pandemia. In questi giorni ho ripercorso nel pensiero quello che insieme abbiamo vissuto in questi ultimi due anni: il tempo della pandemia che ha sconvolto il mondo e le nostre vite. Ci stringiamo ancora una volta attorno alle famiglie delle tante vittime: il loro lutto è stato, ed è, il lutto di tutta Italia. Dobbiamo ricordare, come patrimonio inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari. Di chi si è impegnato per contrastare il virus. Di chi ha continuato a svolgere i suoi compiti nonostante il pericolo. I meriti di chi, fidandosi della scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani, che voglio, ancora una volta, ringraziare per la maturità e per il senso di responsabilità dimostrati. In queste ore in cui i contagi tornano a preoccupare e i livelli di guardia si alzano a causa delle varianti del virus – imprevedibili nelle mutevoli configurazioni – si avverte talvolta un senso di frustrazione. Non dobbiamo scoraggiarci. Si è fatto molto. I vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e rischi, per sé e per gli altri. Ricordo la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso. Cosa avremmo dato, in quei giorni, per avere il vaccino? La ricerca e la scienza ci hanno consegnato, molto prima di quanto si potesse sperare, questa opportunità. Sprecarla è anche un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla. I vaccini hanno salvato tante migliaia di vite, hanno ridotto di molto – ripeto – la pericolosità della malattia. Basta pensare a come l’anno passato abbiamo trascorso le festività natalizie e come invece è stato possibile farlo in questi giorni, sia pure con prudenza e limitazioni. La pandemia ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi. Eppure ci siamo rialzati. Grazie al comportamento responsabile degli italiani – anche se tra perduranti difficoltà che richiedono di mantenere adeguati livelli di sicurezza – ci siamo avviati sulla strada della ripartenza; con politiche di sostegno a chi era stato colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei. Una risposta solidale, all’altezza della gravità della situazione, che l’Europa è stata capace di dare e a cui l’Italia ha fornito un contributo decisivo. Abbiamo anche trovato dentro di noi le risorse per reagire, per ricostruire. Questo cammino è iniziato. Sarà ancora lungo e non privo di difficoltà. Ma le condizioni economiche del Paese hanno visto un recupero oltre le aspettative e le speranze di un anno addietro. Un recupero che è stato accompagnato da una ripresa della vita sociale.
Nel corso di questi anni la nostra Italia ha vissuto e subito altre gravi sofferenze. La minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamista, che ha dolorosamente mietuto molte vittime tra i nostri connazionali all’estero. I gravi disastri per responsabilità umane, i terremoti, le alluvioni. I caduti, militari e civili, per il dovere. I tanti morti sul lavoro. Le donne vittime di violenza. Anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone. Il volto reale di una Repubblica unita e solidale. È il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica.

La Costituzione affida al Capo dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale. Questo compito – che ho cercato di assolvere con impegno – è stato facilitato dalla coscienza del legame, essenziale in democrazia, che esiste tra istituzioni e società; e che la nostra Costituzione disegna in modo così puntuale. Questo legame va continuamente rinsaldato dall’azione responsabile, dalla lealtà di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere senza il sostegno proveniente dai cittadini. Spesso le cronache si incentrano sui punti di tensione e sulle fratture. Che esistono e non vanno nascoste. Ma soprattutto nei momenti di grave difficoltà nazionale emerge l’attitudine del nostro popolo a preservare la coesione del Paese, a sentirsi partecipe del medesimo destino. Unità istituzionale e unità morale sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la Repubblica. Credo che ciascun Presidente della Repubblica, all’atto della sua elezione, avverta due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore. Non tocca a me dire se e quanto sia riuscito ad adempiere a questo dovere. Quel che desidero dirvi è che mi sono adoperato, in ogni circostanza, per svolgere il mio compito nel rispetto rigoroso del dettato costituzionale. È la Costituzione il fondamento, saldo e vigoroso, della unità nazionale. Lo sono i suoi principi e i suoi valori che vanno vissuti dagli attori politici e sociali e da tutti i cittadini. E a questo riguardo, anche in questa occasione, sento di dover esprimere riconoscenza per la leale collaborazione con le altre istituzioni della Repubblica. Innanzitutto con il Parlamento, che esprime la sovranità popolare. Nello stesso modo rivolgo un pensiero riconoscente ai Presidenti del Consiglio e ai Governi che si sono succeduti in questi anni. La governabilità che le istituzioni hanno contribuito a realizzare ha permesso al Paese, soprattutto in alcuni passaggi particolarmente difficili e impegnativi, di evitare pericolosi salti nel buio.

Ci troviamo dentro processi di cambiamento che si fanno sempre più accelerati. Occorre naturalmente il coraggio di guardare la realtà senza filtri di comodo. Alle antiche diseguaglianze la stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove. Le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico. Una ancora troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futuro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti più preoccupanti della nostra società. Le transizioni ecologica e digitale sono necessità ineludibili, e possono diventare anche un’occasione per migliorare il nostro modello sociale. L’Italia dispone delle risorse necessarie per affrontare le sfide dei tempi nuovi.

Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro, giovani che – come è necessario – si impegnano nella vita delle istituzioni, giovani che vogliono apprendere e conoscere, giovani che emergono nello sport, giovani che hanno patito a causa di condizioni difficili e che risalgono la china imboccando una strada nuova. I giovani sono portatori della loro originalità, della loro libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società. Vorrei ricordare la commovente lettera del professor Pietro Carmina, vittima del recente, drammatico crollo di Ravanusa. Professore di filosofia e storia, andando in pensione due anni fa, aveva scritto ai suoi studenti: “Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare…”. Faccio mie – con rispetto – queste parole di esortazione così efficaci, che manifestano anche la dedizione dei nostri docenti al loro compito educativo. Desidero rivolgere un augurio affettuoso e un ringraziamento sincero a Papa Francesco per la forza del suo magistero, e per l’amore che esprime all’Italia e all’Europa, sottolineando come questo Continente possa svolgere un’importante funzione di pace, di equilibrio, di difesa dei diritti umani nel mondo che cambia.
Care concittadine e cari concittadini, siamo pronti ad accogliere il nuovo anno, ed è un momento di speranza. Guardiamo avanti, sapendo che il destino dell’Italia dipende anche da ciascuno di noi.
Tante volte abbiamo parlato di una nuova stagione dei doveri. Tante volte, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo sottolineato che dalle difficoltà si esce soltanto se ognuno accetta di fare fino in fondo la parte propria. Se guardo al cammino che abbiamo fatto insieme in questi sette anni nutro fiducia. L’Italia crescerà. E lo farà quanto più avrà coscienza del comune destino del nostro popolo, e dei popoli europei.
Buon anno a tutti voi!
E alla nostra Italia!

Tanti auguri Presidente! E grazie per tutto ciò che ha fatto per noi.

(fonte: Open https://www.open.online/2021/12/31/mattarella-discorso-fine-anno-2021-testo-integrale/)

Ohibò 2021

Sei mesi. Maremma gatta, come vola il tempo!!

Un tempo strano, a volte sospeso, a volte velocissimo.

La pandemia mi ha stravolto. Alcune consuetudini sono saltate, altre sono rimaste pressoché le stesse.

Però, mi sono dimenticato del mio blog per ben 6 mesi!! Non mi era mai successo, di dimenticarmelo per così tanto tempo!!

Un po’ come per quel libro che hai sul comodino, che ti riprometti di iniziare a leggere, che è lì che ti “guarda” come per dire “oh, ma io?”…

Ma tu, distratto, lo guardi, ti riprometti di iniziarlo, ma puntualmente te ne dimentichi. O, inconsciamente, non lo vuoi leggere. Chissà!

Impegni. Impegni. Giornate che scorrono, a volte con la lentezza di una tartaruga. Altre che volano via come soffiate da un vento impetuoso, che scompiglia capelli, abiti, pensieri.

Ti soffermi un attimo, alzi lo sguardo: il cielo è plumbeo, forse arriverà un temporale. Senti l’umidità nell’aria.

Vai a letto. Inizia a piovere. Il gocciolio delle grondaie non ti fa dormire. Un lampo, un tuono. Sarà di nuovo una lunga notte.

Lei è ancora lì, pronta ad assalirti al collo. Ti opprime, ti stringe. I polmoni si gonfiano d’aria, ma non puoi resisterle.

Il mattino, di nuovo, ancora. Un altro giorno. Uno dopo l’altro.

Siamo a metà 2021. Non sembra vero. Non sembra reale!

Soluzione alla pandemia

Tutti che frignate perché non potete sciare.

Tutti che frignate perché non potete fare gli aperitivi o le feste.

Tutti che frignate perché non potete andare nelle seconde-terze-quarte case, intestate alla nonna 90enne per evitare le tasse.

Tutti che frignate perché vi hanno chiesto di fare meno gruppo per evitare la proliferazione del virus.

Secondo me, allora, ci vorrebbe una soluzione molto molto semplice. Facciamo come in Cina.

Stiamo chiusi in casa fino a nuovo ordine, l’esercito ti passa il rancio ogni giorno, se metti il naso fuori di casa prima sparano e poi chiedono cosa vuoi, nessuno ora brontolare, tutti zitti fino a ordine diverso. Niente gite, niente scuola in presenza, niente di niente, se non la reclusione forzata in casa.

Stop.

Così evitiamo un bel po’ di problemi con gli spostamenti, evitiamo che dei ladri facciano la cresta sui rimborsi, evitiamo che le aziende nascano dal nulla solo per fregare soldi pubblici, evitiamo assembramenti, evitiamo un bel po’ di problemi.

Soprattutto, eviteremmo che una massa di idioti continui a scrivere stronzate su tutto, incapaci di una minima empatia verso una situazione di emergenza, dove si chiede un dovere civico.

Vi meritate non solo l’asteroide, ma pure il disprezzo, che rigurgitate senza un rimorso di coscienza nelle vostre insulse bacheche.

Pandemia & senso civico

Ho trovato questo pensiero sulla bacheca di un’amica su Facebook.

Lo trovo estremamente lucido. E ne condivido ogni singola parola!

C’è una pandemia che ha fatto quasi 1,2 milioni di morti nel mondo e viaggia al ritmo di 400 mila nuovi casi al giorno. È un virus che era sconosciuto fino a 8 mesi fa. Sin da subito, gli esperti (quelli veri) ci hanno informati che per un vaccino ci sarebbero voluti almeno 24 mesi, se non di più.
Allora c’è stata chiesta responsabilità ma molti se ne sono fregati.
C’è stato chiesto di passare un’estate più sobria, evitando spostamenti all’estero, ma molti se ne sono fregati.
C’è stato chiesto di evitare movide e assembramenti come fossimo al concerto dei Pink Floyd, e molti se ne sono fregati.
I fenomeni del web, i laureati della vita, i leoni da tastiera, i no mask, i no niente, li abbiamo visti deridere chi andava in giro con la mascherina pur non avendone l’obbligo, li abbiamo visti in piazza a sbraitare contro chi voleva proteggere la salute dei più deboli.
Ora, gli stessi chiedono cosa abbia fatto il governo per evitare una seconda ondata.
La seconda ondata era certa, i virus funzionano così, in Europa siamo ancora tra i paesi con il numero più basso di contagiati (In Francia si superano i 45 mila casi al giorno); quindi mi chiedo cosa caxxo avevate in testa VOI, che ridevate ammassati in discoteca, che riempivate le spiagge di Ibiza e Barcellona, che vi affollavate fuori tutti i locali della movida italiana.
La categoria dei ‘coglioni a prescindere’, dei ‘voglio e non do nulla’, dei ‘tanto è sempre colpa degli altri’ è la peggiore categoria di esseri umani che conosca, quella che viene attirata dai politici che tra un selfie e un panino, cavalcano ogni mal di pancia, infischiandosene del bene comune.
Ora ci attende un secondo inverno in cui dovremo fare dei sacrifici, alcuni dei quali grazie anche a voi.
Cercate pure il colpevole. L’autunno. Conte. Si sottovaluta il parere dei virologia per ascoltare le scemenze dell’imbecille di turno. Si pretendono le mascherine, i test, i tamponi, le cure. I diritti. Mentre con i doveri si gioca a nascondino e si va in giro con il naso di fuori. Mah…

Già… mah!!

La vita ai tempi di una pandemia

Sottotitolo: pensieri e riflessioni in queste settimane.

Fa un po’ strano.

Siamo una generazione nata a metà anni ’70, che non ha vissuto i drammi delle guerre (mondiali o civili), che ha goduto di un discreto benessere, di un tenore di vita migliore dei nostri avi.

Almeno per noi nati dalla parte ricca del mondo.

Eppure, questo 2020 (anno bisestile ergo funesto, a detta della tradizione), ci ha riportati indietro nella storia, una fastidiosa e alquanto tremenda macchina del tempo.

Il coronavirus che ha scatenato la pandemia di Covid-19 ci ha costretti, per il bene degli altri, a rinchiuderci in casa, a scollegare la nostra quotidianeità fatta di lavoro, spostamenti, amici, vita sociale. Ci ha portati in una dimensione di solitudine casalinga. Addio a spostamenti, addio a lavori, addio a relazioni sociali, addio a soldi & stipendi.

Ma, ahimè, addio anche a tante, tantissime persone, che hanno dovuto lottare contro un malefico piccolo esserino, e che dopo una dura lotta ci hanno abbandonato. Persone che non abbiamo potuto nemmeno salutare nelle forme più classiche, elaborando un lutto in pochissimi minuti perché le disposizioni sanitarie non permettevano funerali di nessun tipo.

Un virus subdolo, catapultato in una società un po’ strana.

Eppure… una lezione da questa pandemia la possiamo leggere. Umanità.

Il virus ci ha costretti a fare i conti con qualcosa che davamo per scontato: la socializzazione. Niente più strette di mano, abbracci, baci, contatti, saluti. Niente. Stop. Distanziamento sociale.

L’emergenza ci ha aperto gli occhi (o forse li hanno aperti solo coloro che li avevano tenuti chiusi per comodità) su cosa vuol dire avere un sistema sanitario garantito a tutti e sostenuto con la tassazione. E su cosa voglia dire pagare le tasse che servono a pagare medici e infermieri e per acquistare materiali sanitari da destinare alla popolazione. Tutto questo, nei paesi dove la spinta capitalistica è più forte, non è possibile (USA, UK etc).

L’emergenza, poi, ha costretto la classe politica a mettersi seriamente in gioco: i personaggi più squallidi, gli sciacalli più meschini, hanno tirato fuori il peggio di loro, dimostrando ancora una volta che una destra estrema è pericolosa, peggio di una presunta sinistra estrema. Sinistra non vuol dire comunismo, comunque. Perché il paragone, per i simpaticoni di destra, è immediato. Per contro, dovremmo dire allora che destra = fascismo. Ma non è così, e allora che non siano loro a puntare sempre il dito.

La classe politica, poi, ha dovuto fare i conti con i conti: che non tornano, ancora! L’Italia ha dei conti pubblici da spavento, le entrate non coprono le spese, il debito pubblico enorme, gli interessi sul debito che son sempre lì a rosicchiare il poco surplus. Che fare? Gli economisti da supermercato hanno urlato di stampare moneta e dare soldi a pioggia un po’ a tutti. Eh certo, se vuoi usare le banconote del Monopoli, fai pure. Di nuovo un’approssimazione della realtà, un qualunquismo da 4 soldi, spacciato per conoscenza, per verità, per certezza. Ma una delle prime lezioni di economia politica è proprio questo: non si stampa moneta dal nulla. C’è sempre un do ut des, un dare e avere, e senza la parità aurea (stampo moneta per quanto oro mi vendi), non è possibile creare moneta dal nulla. O meglio, sì, è possibile, ma con una serie di conseguenze negative per tantissimi, soprattutto per la popolazione più povera, a discapito dei soliti ricchi. Su Google troverete tantissimi esempi, ma quello che ho trovato qui vi fa capire in maniera molto semplice di cosa parliamo.

Soldi. Tasse. L’Italia ha dovuto chiedere un enorme massa di denaro per far fronte alla chiusura forzata di moltissime aziende, negozi, attività produttive. A chi chiedere questi soldi? Ci sono un po’ di opzioni: o aumenti la pressione fiscale, o tagli le spese, o chiedi soldi in cambio di titoli di debito pubblico.
– Aumento della pressione fiscale. E come fai? Hai già una tassazione pesante, tra tributi diretti e indiretti. Aumentarli significa solo spremere ancora di più i contribuenti (o almeno quelli che pagano regolarmente e seriamente le tasse). Scelta non idonea.
– Tagli alle spese. Ci hanno provati in tanti, quasi sempre sono stati operati in maniera lineare e senza una vera discrezione, dovendo trovare ogni volta compromessi politici pendenti tra una fazione e l’altra, tra un ministero e l’altro, tra una materia e l’altra. Niente da fare anche qui.
– Soldi in cambio di titoli di debito pubblico. Lo Stato stampa titoli di debito, che vengono acquistati da investitori istituzionali o privati, garantendo un rendimento. Ma gli investitori devono fidarsi dello stato che li emette e, in caso negativo, chiedono tassi di interesse più alti per garantirsi una remunerazione dovuta al rischio più alto.
Che facciamo? L’Italia non può fare altro che optare per l’ultima ipotesi. Ma anche qui, i soliti pagliacci della politica urlano a gran voce che i soldi ci devono essere regalati, senza condizioni, anzi pretendono una discrezionalità nell’uso e, oserei, nella distribuzione di nuovo a pioggia.

Ma i soldi ci sarebbero, stimati in almeno 100 miliardi l’anno. E’ l’evasione fiscale. Tasse non pagate. Perché, cari miei, si sa, pagare le tasse non sembra così tanto bello come invece diceva anni fa il compianto Padoa Schioppa (nota: nei due anni in cui su ministro dell’economia e finanze  l’avanzo primario dell’Italia risalì dallo 0,3% al 3%, il deficit passò dal 4% al 2%, il debito pubblico scese dal 106,5% al 104%, il recupero di imposte evase fu di 20 miliardi, gli investimenti in infrastrutture superarono i 40 miliardi di euro).
Pagare le tasse, invece, è dovere di ogni cittadino! Art. 53 della nostra Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Però ci lamentiamo delle buche nelle strade, ci lamentiamo per le tasse universitarie, ci lamentiamo delle liste di attesa per gli esami sanitari, ci lamentiamo perché a detta nostra lo Stato non è efficiente. Ma senza quella mole di denaro, cari signori, vi dovreste pagare di tasca propria la sanità, la scuola, la sicurezza, i servizi essenziali. Se non vi sta bene pagare le tasse, cominciate a mandare i vostri figli in una scuola privata invece della pubblica, a pagare il servizio di sicurezza privata invece di chiamare Polizia o Carabinieri, e se vi sentite male rinunciate all’ospedale pubblico e fatevi ricoverare in una clinica privata.
Io sono favorevole ad un controllo sistematico dell’Agenzia delle Entrate: con il codice fiscale, si può risalire a proprietà mobili e immobili, conti correnti, acquisti etc. Togliere il contante significa eliminare il denaro in nero. Poi serve una seria riforma fiscale, magari comune a tutta la UE: tassazioni più progressive, tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. Chi ha di più, paghi di più. Basta agevolazioni e regalie ai soliti paperoni che, di fatto, creano una mancata redistribuzione in favore di chi non ha. Le agenzie fiscali e tributarie hanno gli strumenti, basta avere la voglia politica di fare queste operazioni. Magari con un federalismo fiscale più serio: tasse e tributi locali che siano a finanziare il territorio, tasse e tributi regionali e nazionali con un fondo perequativo in favore delle regioni più penalizzate, tasse e tributi europei gestiti direttamente dalla UE.

Concludo: è un periodo difficile per tutti, ma senza un po’ di equità e di buon senso, i poveri saranno ancora più poveri (e falcidiati dal virus), i ricchi saranno ancora più ricchi (e sani, forse). Servono soldi, a fondo perduto, per ripartire e per aiutare i più deboli. Servono finanziamenti agevolati a chi ha comunque le spalle più forti (medie e grandi imprese). Serve un bagno di umiltà da parte di molti, in primis gli imprenditori di un certo livello, che pretendono un ulteriore depauperamento dei diritti dei lavoratori in cambio di una forte agevolazione solo nei loro confronti. Ancora questa strana e ignobile teoria di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite: quando le aziende vanno bene, i soldi li intascano i padroni. Quando vanno male, subito si alzano le voci per un intervento dello Stato e soldi pubblici a go-go. Ma non erano i fautori del libero mercato, liberismo economico e guai se lo stato interveniva nell’economia perché sarebbe stato un male? Mah! A pensar male si fa peccato ma difficilmente si sbaglia, ci ricordava don Giulio (Andreotti), e anche stavolta sembra che una certa classe imprenditoriale voglia solo pararsi i deretani con agevolazioni, continuare a garantirsi a tutti i costi un agio e una ricchezza nonostante tutto e tutti.
Ma tanto i soldi non te li porti nella tomba.